martedì 19 febbraio 2013

Disegno "Uccisa per odio" di Maurizio Barraco e poesia di Federica Sabbatini



Disegno Maurizio Barraco "Uccisa per odio"

strozzate nel male
che cinge seni e gambe
a scortare il corpo
nell’incanto dell’attesa di un tocco.

una franchigia
per il ventre (e il petto e le mani)
si avanza frenandosi dietro
(silenzi e capelli impigliati)
a contrastare un respiro.

E intanto muoia anche l’ultimo giglio
nel colmo di grida atte a scolpire l’essenza

(rimarrà solo un profumo
a coprire il nudo che avevo sognato)


 - scritto su disegno di Maurizio Barraco -





lunedì 18 febbraio 2013

Sono donna e non un peccato mortale.




Potrai mai verniciare le mie vanezze?

Sono donna e tu puoi solo fantasticare
delle visioni che ho quando mi versano da bere.
Se siedo è solo per pensare ancora e ancora
a quando non sapevo piangere di fronte ai riverberi.

“Non ti ho mai raccontato o forse l’ho fatto oltremisura”
- pensavo.

Ma il mio essere femmina mi fa scoprire i seni
anche se il tempo dei figli è passato
e quello dell’amore è ancora lungo.
Dubita di me, poiché io voglio essere contraddizione,
dubita di me, poiché non voglio disingannare la mia figura.

Sono donna e non un peccato mortale.

(Tratta dal libro "Perdonate il Bianco e Nero" - Onirica edizioni)

martedì 12 febbraio 2013

Io non l'avevo mai visto l'Adda - Su il dipinto dell'artista Giuseppe Faraone

Dipinto di Giuseppe Faraone - L'Adda
Dipinto Giuseppe Faraone - L'Adda

Io non l’avevo mai visto, l’Adda,
dolce riversarsi - come una donna -
un pennello che lusinga la schiena
rami piegati a voler baciare il fluire
e un pittore fermo ai margini
e inconsapevolmente intento
a impigliarmi ai riflessi
- riverberi  e rami e rivoluzioni -
e una tela ad arrestare uno sconvolgimento.

Una barchetta (timida)
si lascia dipingere
e prega Dio che il pittore
resti lì, ancora, a scrivere di lei.


- dedicata a questo dipinto di Giuseppe Faraone e alla sua amicizia -



domenica 10 febbraio 2013

"Tempo2013" di Massimo Gallo (MemoriaLiquida) ... i ricordi di quando la vita era a scolpire i giorni.

Video Tempo 2013 di Massimo Gallo... 



Un testo e foto, questi di Massimo Gallo (autore romano per il quale nutro una grande stima), che ampliano i ricordi di quando la vita era a scolpire i giorni.

“C’è stato un tempo”, recita, “in cui avevamo il cuore nelle mani” un tempo che molti di noi ricordano con dolce malinconia poiché quel tempo l’hanno vissuto o sentito raccontare dai propri genitori, dai propri nonni, dal vicino di casa, dagli anziani che ricordano un mondo a colori anche se le foto erano in bianco e nero. Un tempo che, in qualche modo, è ancora doverosamente nostro e che la sua parvenza non può far meno di ridestare in noi il contrasto tra la tristezza e la gioia di un passato denso di gesti ormai perduti, fosse solo per il fatto che il tempo se ne va e ogni epoca lascia l’opportunità ( o la responsabilità ) di non dimenticare, anche se, spesso accade.

“Non dimenticare da dove vieni sembrano dire le frasi e le foto che si susseguono a delineare con gli occhi di bambino ora fatto adulto, il cuore ancora rivolto agli anni trascorsi a sorgere con il sole, con la nostalgia per quelle carezze umide di terra  e che si ricorda di quanto tutto fosse piccolino da sopra le spalle di papà e che da lì sopra poteva  toccare il cielo -fosse stato solo travi grandi e nere – noi bambini ancora seduti sull’uscio ad attendere “la voce di madre” volare tra le spighe del grano e giungere a delineare un tramonto. Solo che quel bambino siamo tutti noi.

Sono flashback che appartengono a tutti, anche se cambiano di forma, anche se abbiamo diretto il film della nostra infanzia  in anni diversi poiché gli occhi dei bambini sono gli stessi a perdere fiato nella rugiada.

federica sabbatini



C’è stato un tempo
in cui avevamo il cuore nelle mani
e si cresceva con occhi curiosi,
fra abbracci e scarpe buone
solo per la domenica.

C’è stato un tempo
in cui il pavimento
visto da sopra le spalle di papà,
era lontanissimo al nostro sguardo
e da lassù tutto era piccolino.

C’è stato un tempo
in cui il soffitto era travi grandi e nere.
A guardarle con il naso all’insù,
da sopra le spalle di papà,
potevamo quasi toccarle.

C’è stato un tempo
in cui noi sorgevamo con il sole
e il pane cotto a legna
profumava sulla tavola del mattino

e un tempo in cui
le pietre delle pareti le conoscevi tutte
e un tempo in cui
il fumo del camino riempiva il cielo.

C’è stato un tempo
in cui il grande albero
batteva sulla finestra
e i vestiti stavano larghi
e i fianchi erano asciutti

e un tempo di corsa
a perdere fiato nella rugiada
e i sassi nel torrente
erano colorati di acqua e sole.

C’è stato un tempo
in cui nessun sorriso era amaro
e ogni abbraccio era di madre con grembiule

e un tempo in cui
la carezza di padre era umida di terra
e le gote e i volti si arrossavano
davanti al fuoco del camino.

C’è stato un tempo
in cui il sonno della sera
piegava il capo e il buio di fuori
era solo silenzio e stelle da contare

e un tempo in cui
nessun sogno era triste
e ogni alba profumava
come grano in attesa del vento.

C’è stato un tempo
in cui la minestra
era a scaldare sulla stufa
e le barchette, fatte di carta,
filavan giù al ruscello

e un tempo in cui
il lumi tremolavano e la cera
colava a far disegni strani
e la famiglia non era un quadro
appeso ad una parete.

C’è stato un tempo in cui
noi si guardava i grandi lavorare
distanti sul limitare dell’orizzonte,
sparsi sui campi,
fra grandi stivali e fazzoletti al collo.

Noi, cuccioli senza pettine,
a cantilenar canzoni e nenie
a ciondolar le gambe ossute
si stava,
fra rumore di scodelle
e canto dei primi grilli,
seduti al limitar dell’uscio
in attesa di voce di madre
che si inoltri tra le spighe
che raddrizzi le schiene
che fermi le braccia
che annunci la sera.

(Massimo Gallo)

sabato 9 febbraio 2013

Ho saputo che anche gli angeli fanno l’amore

foto © federica sabbatini

Stanze distorte nel tuo riflesso nascosto
e mi dimeno arrestando invece il respiro
(calci e pugni al gelo di quest’inverno)
divincolarsi dal groviglio non è facile

- e non voglio –

rotatorie, precedenze a destra,
io passo e vado incurante della desolazione
di questa strada, di questo febbraio, di quest’intreccio
(musiche assordanti e cantilene e arie incomprensibili)

- e non chiedo più –

che arrivi l’inaspettato a presentarmi Dio
né fili spinati e vetri piantati a difendere
ma mani a confondermi capelli e labbra
e salti nel rumore, nel silenzio e giorni […]

- non racconti -

ho saputo che anche gli angeli fanno l’amore
- ci hanno mentito per anni –
io non so se ancora accarezzi – il passato -
e avrei voluti che anche tu avessi conosciuto un rimpianto.

© federica sabbatini, 09 febbraio 2012

mercoledì 6 febbraio 2013

su "Perdonate il Bianco e il Nero" di Federica Sabbatini (Angela Greco)



su "Perdonate il Bianco e il Nero" 
di Federica Sabbatini

"Perdonate il Bianco e Nero"
Onirica Edizioni

L’intera gamma di colori compresa ogni sfumatura possibile racchiusa negli estremi di un titolo; un filo nero a delimitare di donna un profilo con lo sguardo remissivo appena tratteggiato soltanto sulla copertina completamente bianca ed un sottotitolo “percorsi e poesie” ad indicarne la strada. Questa l’introduzione grafica del libro di Federica Sabbatini, Perdonate il Bianco e il Nero, Onirica Edizioni 2012, con l’aggiunta sul retro-copertina di poche notizie biografiche. Perché l’essenziale è racchiuso in poco meno di ottanta pagine dense di vissuto, scure di precisa cognizione di causa ed esatte nel loro essere in bilico tra realtà e sogno.

“…e un giorno si ritrovò disarmata nell’osservare il suo riflesso allo specchio”potrebbe definirsi l’incipit di questo connubio di versi, prosa e prosa poetica atti a conoscersi e ancor più riconoscersi, che Federica Sabbatini affida a se stessa in primis e poi al lettore, chiamato ad una sorta di lettura \ scontro non semplice con i temi proposti e con l’ottica in cui vengono esposti: siamo di fronte alla presa di coscienza e posizione di una ragazza che ha deciso di evolvere ed essere e vedersi donna, perché tale si sente indipendentemente dalla fisiologia certa ed accettata che la vede madre nel contesto abitativo e familiare (tu sei me, \ l’ammontare delle parole, \ il mio rinvio, il mio contrasto più acceso. \ […] tu sei l’unico mio perdono – si legge nella dedica a sua figlia). Un cammino seminato di insicurezze – pronte a sbocciare in frutti maturi – e obblighi da elaborare e da cui raccogliere se stessi (autrice  elettori), veri e autentici; un procedere difficoltoso del quale spesso si avverte come un senso di colpa, quasi fosse un errore la volontà di crescere in maniera differente da quanto gli altri vorrebbero (Cosa senti, cielo? \ anche tu soffri delle dispersioni? \ l’intromettersi nel tuo intimo?); un avanzare anche nella lettura a passo man mano più lento, misurato, perché da istintivo si è fatto cosciente e voluto.

Un testo dettato e governato da Amore, che ricama nel quotidiano dolore del non-essere-ancora e costantemente richiama a sé, dando la grazia di una scrittura colma d’affetto cercato e donato senza misura, casa per un Io desideroso d’accettazione e straripante di dolcezza non stucchevole, ma tale da rendere una forza ancora maggiore ad una poesia e ad una prosa preziose, leali e sincere. Come sincera è la voglia dell’Autrice di farsi scoprire nella sua nuova età, con le sue difficoltà ancora in itinere e con la sua grande forza di voler riuscire nella “situazione” più immutevole e difficile per ciascuno: amare ed essere amata (Una volta mi bastavo, \ ora, senza di te, sono una metà \ e questo mi fa paura e mi rasserena, \ contrasto rassicurante e tormentoso, \ tu, radice benevola e infestante.) – [Angela Greco]
.
di seguito i versi (così sulla pagina) che chiudono il testo:

“E’ una notte alla quale hanno rubato i silenzi e gli angeli.
Avrebbero voluto tappare e riempire questa bottiglia
con i respiri delle foglie mosse dal vento.
Avrebbero voluto dipingere il bagliore della luna,
sul tuo corpo,
(solo per regalarti un miraggio di luce),
ma vi hanno condannato a mille tempi di riverberi,
riflessi che si levano e dissolvono
come le visioni dei folli.

Saranno le attese a scolpire le vostre rughe.
Io non appartengo alla seta,
ma ad incanto e furore e grida.
Sono pazzia e follia
(nei mie spazi, ma anche fuori)
e molte come me
sanno che ridere può dar noia
(e allora rido).

Ho aperto tanto:
finestre, cieli e gambe
(e cuore, ma questo poco conta);
e ho mostrato ancora di più:
fegato, mani e seni
(e occhi, ma non sono stati notati9;
ho anche brindato oltre misura
per rendere grazie alla mia bocca
e quella di altri (ma forse non ho ancora finito).

…ma dove sono scappati tutti? E i miei tratti?
Resto in movimento, qui, a mangiarmi le unghie
osserverò e seguirò persone e venti e poi sarò di nuovo con me.

Adesso, raccolgo un petalo e provo a incarcerarne il profumo:
io non apparterrò mai alla seta.


***

Ringrazio Angela Greco per le parole che ha dedicato al mio libro e per aver compreso l'intimità dei miei versi. Consiglio a tutti di visitare il suo blog, uno spazio colmo di poesia ....



venerdì 1 febbraio 2013

Truccati il viso



"Truccati il Viso"




foto e video federica sabbatini
voce federica sabbatini



“Truccati il viso,
vestiti bene
e non scherzare a tremare.
Non deludere,
sii forte come si addice a una donna,
stai dritta sulla schiena.
Hai abbinato le scarpe alla borsetta?
Hai badato bene ai tuoi figli?
Hai scansato i tuoi pensieri dalle nuvole?
Non piangere dei tuoi incubi,
non urlare come una pazza,
sì, sei pazza,
hai scagliato la tua vita al di là di ciò che volevano.”


(Cosa nasce dentro al mio seno?
Fiori? Nuvole? Vento? Passi?
Calpesto le mie mani per passare avanti
e spesso sono costretta a rimanere dietro.
Approssimativamente sono pazza
e se provo ad esibire il coraggio
magari ci perdo in stile.)

….

Oggi ascolto un alito di vento,
solamente lui,
quello che riporta soffiando i granelli persi negli anni
e il calore lo prendo dal sole,
l’amore mi annulla solo dopo aver convalidato il mio risultato,     
è la vita che attende i miei passi,
poche le traiettorie,molti i caos.

Praticamente tento la vita.


Premio Letterario Spiragli 2012
da sinistra Barbara Carniti, Michele Lospalluto, Federica Sabbatini
Attestato Ivana Petullà - Opera Mimmo Laterza 



federica sabbatini... chi sono...


"Federica Sabbatini nasce ad Arcevia nel 1978, un piccolo paese in provincia di Ancona, dove tutt’ora oggi vive insieme a sua figlia.

Inizia a scrivere giovanissima, principalmente poesie, prosa poetica e riflessioni ma solo da poco tempo ha iniziato a comprendere l’importanza della condivisione, da quando un poeta contemporaneo le ha aperto gli occhi spiegandole che “la poesia diviene tale solo dal momento in cui la si condivide”.

Negli ultimi due anni ha iniziato a rendere pubblici i suoi scritti partecipando a concorsi letterari e conseguendo alcuni riconoscimenti tra i quali il secondo premio al premio letterario “San Benedetto nel cuore” nella sezione narrativa, prima classificata al premio letterario “Spiragli” di Altamura e una menzione d’onore al concorso letterario “Leggiadramente” della associazione “Carta e Penna” di Torino. Le sue poesie appaiono in varie antologie di concorsi.

Nel dicembre del 2012 pubblica per la casa editrice "Onirica Edizioni" il suo primo libro di poesie e prosa poetica dal titolo "Perdonate il Bianco e Nero".