lunedì 29 luglio 2013

non il passato, non il futuro...


“Non il passato, non il futuro.
Solo l’oggi dei nostri occhi.
Non serrarli.”

Come me. Chissà se fai mai come me. Chissà se ti accorgi mai che nella casa di fronte abitano altrettanti sospiri e che oltre l’andare dei giorni, a ridosso delle nostre maree, in una palafitta ancorata alle onde, abita un vecchio pescatore  che vorrebbe parlarti e parlarti ancora. Ti ripeterebbe mostrando le mani e il cuore consumati dagli anni: “Tu non dare per certo questo andirivieni, per  mare si va spogli dalla superbia del ritorno.” Tu capiresti e io morirei. Davvero dai un significato ad ogni lacrima? Davvero sei capace di non attribuire oltre l’attribuibile? Un giorno franai. Tu tentasti, ma la fatica era troppa e io capii di non poter avere altro oltre le parole e, allora, non negarmele.

“Non ieri, non domani.
Solo il presente tra di noi.
Ci basta.”

Bastarci  non è esistere, ma vivere quello che cola addosso la nostra pelle nell’istante in cui Amore trasuda da ogni singolo poro il sapore dell’essere. Dove vanno a morire i tuoi pensieri? Non posso pensare che ogni tuo aggrapparti non riesca ad avere un luogo. I miei sanno di inchiostro e amaro e non possono oltremodo andarsene se non per degli strappi. Anche l’anima può morire per uno squarcio, lo sapevi? C’è chi l’ha imparato impazzendo e chi l’ha intuito dal tremare del corpo e chi per poco conto dei cuori altrui l’ha scoperto odiando.

“Forse oggi, magari ora.
Il presente sa di pienezza.
Io piano piano dimentico.”


Tu non farlo anche se un giorno potrei chiedertelo. Gli attimi di follia del cuore sono solo attimi, niente più. Sì, so di averne molti, ma fuggono via veloci come un tormento e anche se ritornano sono solo istanti. Ti ricordi quando ti chiesi una bugia? Non so se sono stata vigliacca o meno, ma so di essere stata onesta. Io la volevo, volevo un appiglio per poterti tagliare, come un filo spezzato di un aquilone, come una spiga piegata da un viandante maldestro, una speranza che ancora mi neghi e della quale ormai non patisco più l’assenza. Forse ogni lacrima pesa di meno? Ogni fuga sa di momenti passati a correre sul posto e riconosco i tuoi baci tra le righe di ogni verso che scrivo. 


domenica 28 luglio 2013

forse non sarà mai poesia.

foto federica sabbatini (bici - porto di Ponza)

vorrei capire cos’è questo brontolio
questo diffamare il mondo e i suoi abitanti
le stagioni, il vicino, la pazzia e quel poco che c’è.
siamo tutt’uno con ciò che ci circonda
[il prodotto che non è certo è solo quello della poesia]
ma (nella realtà) se uccidi un uomo
non puoi essere che un assassino
e se ami da impazzire prima o poi impazzirai

non capisco, ma forse sono poco abile,
poiché vi bastino i baci d’una rivista
e affidarvi ad una vita stampata in prima pagina
di chi s’intasca l’esistenza svaligiando il domani.
io amo e non dimentico il sudore di chi si è seduto sotto gli olmi
e di chi ha spazzato ogni strada per farmi dono di un futuro
e m’attacco (oggi) a quelle rughe e a quei calli
come fossero libri da leggere e memorie incancellabili.

ditemi come fate a eccitarvi tra miti e merci
e a dimenticare a casa il cuore e perderlo come un telecomando
e a lasciar correre (poiché conviene)
e poi assolvere chi vi uccide i sogni per una preghiera e qualche spicciolo.
come si fa a restare fermi mentre dall’alto piovono bugie?
cosa direbbe l’attimo prima di morire se vi vedesse
raccoglierle come verità?
dove correte tutti se in realtà state fermi?

piango e ne faccio versi anche se forse non sarà mai poesia.

@ federica sabbatini, 27 luglio 2013





venerdì 26 luglio 2013

Prima di tutto... da "Perdonate il Bianco e il Nero"

Art by Steve Hanks


Guarda il cielo e impara ad accendere la luna
a volerle rimanere accanto tutta la notte
poiché troppo bella da lasciare sola.

Conta le stelle, non pensare che siano troppe per provarci,
nulla è così grande e lontano da non tentare,
ogni miraggio è un piccolo miracolo su cui sperare.

Della notte ama anche il nero:
se per un istante provi a imbrogliarlo
esso ti svelerà da ogni parte la bellezza del mondo.

Cullati con le parole di un libro, la notte.
Quando vuoi per un istante dimenticare i tuoi pensieri
nutriti con i pensieri degli altri.

Ardi di fronte a un quadro
fallo passare dagli occhi per approdare nel cuore
Nutriti della sua bellezza e saziati della sua anima.

Fai della curiosità il tuo strumento per studiare.
L’incanto del desiderio di conoscere,
la necessità di farlo per avere la capacità di decidere.

Insegui i tuoi sogni, non smettere mai di sperare,
anche se verranno definiti deliri.
La vera follia sta nell’ucciderli.

Non aver vergogna di essere un fiore bianco tra fiori rossi
e se hai un profumo diverso fallo conoscere al vento,
la natura ha bisogno anche della tua essenza.

Rispetta te stessa, gli altri, gli oggetti, le idee,
coltiva il tuo campo senza arrecare danno al terreno altrui,
e complimentati con il tuo vicino se il suo raccolto è migliore.

Non invidiare, lo so che non è semplice,
la vita a volte sembra che sia generosa solo con pochi,
ma ricordati che ognuno ha il suo dolore e non sempre puoi scorgerlo.

Scegli, non aver paura di pagarne le conseguenze,
fai del coraggio l’ingrediente primario della tua vita,
condisci la tua esistenza con esso, abolendo i rimpianti.

Sulle persone che posso dirti?
Io ho senza eccezione dato loro una possibilità
e di questo non mi pento: un’amicizia raschia mille delusioni.

Ma prima di tutto l’amore.
È lui che d’agosto fa cadere le stelle
per regalarci il sogno di un desiderio.



federica sabbatini da

 "Perdonate il Bianco e il Nero"

lunedì 22 luglio 2013

Fuori dal buio (voci notturne a ridosso dell'aria) - federica sabbatini & alessandro moschini


(Non ho più tenebre
riflesse tra le dita
come passanti ruvidi
incagliati nei ricordi).
Ascolta ad occhi chiusi
questo vento
che prostra prepotente
le punte dei cipressi.
Respirami nel petto
chiusa tra le mie braccia
nel tremolio dei vetri
e della voce.
Il buio? è stato ieri
(il presente e il verrà)
ogni petto è una scommessa
che gioco incurante delle mani.

Di me ti resta solo da inalare
una superstizione antica
fatta di donne vestite di nero
e lenzuola sotto la cenere,
note stonate di dita che cercano
l’armistizio delle parole.
Ama di me la definizione che trema.
(attendo lontana dall’uscio).

(Non ho più tenebre
riflesse tra le dita
ma solo nastri azzurri
che scorrono al futuro).

(Aspettami lontano:
il mio riverbero sarà
accanto all’imbrogliare
del destino)


© alessandro moschini & federica sabbatini


mercoledì 17 luglio 2013

Eppure



Giuseppe Faraone
"La casa sul Fiume" olio su tavola

Eppure avrei da dire, ma contengo le lacrime
come fossi un piccolo fiume geloso del proprio dolore,
non riesco a fluire
e mi perdo a contatto con me stessa.

Eppure avrei da piangere, ma ogni sussulto di questo seno
 cede alle tue mani e aspetto che tu mi parli
come fossi un profeta,
ma la veggenza l’allunghi soltanto lontano dal mio ascolto.

Eppure avrei saltato, un balzo così lontano da
rompermi entrambe le ginocchia e procurarmi un’amnesia,
temporanea, di certo,
ma degna d’essere chiamata col nome di cura.

Eppure avrei da urlare, da rompere un bicchiere e
 tirare un piatto, ma è poco elegante e non è che mi sia
 mai importato molto dell’eleganza,
ma, sai, ho delle responsabilità, ormai.

Eppure avrei bisogno di un aiuto, non è che non l’abbia chiesto,
ma una cosa è chiedere di sollevare una scatola,
un’altra è quella di sollevare l’anima,
pesano assai i tormenti, i pensieri , gli amori.

Eppure mi sarei colorata, piena di colori, ovunque,
distratta anche accanto ai respiri che ti regalo.
Ma tu li cogli senza imbrattare il nero della stanza.
una carezza a trattenere la notte.

Eppure raccolgo silenzi come fossero gocce di rugiada, fresca,
attraversata dall’alba e mi ci spalmo addosso a quest’assenze di voci,
solo il ticchettio dei tasti a
riportarmi a queste visioni, a ciò che ormai sono.

© federica sabbatini, 

lunedì 15 luglio 2013

Era stato un aquilone.



Era stato un aquilone – forse – in quel mattino di novembre a sciogliere il mio inizio. Mi sembrò che fosse l’istante giusto per scivolare un po’ più in su.

Diedi inizio a quel dialogo tra senno e spinte, un dialogo marcato da dita a pigiare e da quaderni a racchiudere il volo del dire.

“Tu sei stato più onesto di me, ricordi? Un giorno mi chiesi con tono severo cosa io volessi. Ti risposi seccata che non volevo nulla. Beh, ti mentì. Io volevo l’amore, volevo che fossero versi, volevo che divenisse poesia.

Ti chiedevo – senza parlare o facendolo oltre misura – di amarmi. Di non scavalcare la folla dei miei deliri. A volte ho perfino cercato di issare al cielo le mani e farle impigliare nei grovigli degli insiemi, lassù, aldilà, dove arriva rarefatto il fiato che questa gelida sera d’inverno smaschera.

Svevo anche capovolto le stagioni e non sapevo più riconoscere un’attesa da un approdo e mettevo zollette di zucchero lungo il tuo corpo per dimenticare la mia assenza e ammorbidire con l’ammollo un divenire, ma tu non leggevi e io scrivevo di tutto ciò tra un abdicazione e un’accoglienza.

Ma perché, tu, voi non volete credere all’onestà dei poeti? Anche quando mentono lo fanno solo a se stessi, poi ognuno creda al proprio incedere compiangendosi addosso ciò che essi hanno avuto pietà di scrivere, per se stessi, per gli altri o per nessuno. I versi restano lì, per pochi, per chi non teme i pensieri e i tormenti, per chi non sospetta della vita, per chi sa che un poeta può spegnersi per un solo alito rubato e nonostante ciò dipinge un abbraccio così stretto da scorporare l’anima.

Occorre lasciarli vivere i poeti, avere pietà di loro, delle loro anime disconosciute dalla vita e, invece, spesso indugiate sulla loro morte, come se la fine prospetti l’inizio, come fossero un contrasto terreno, come carne sulla quale dipingere la follia e che ben venga questa benedetta follia se è capace di generare lacrime pure come quelle della poesia e ben venga il cielo a lambire la terra se, così, può nascere un tumulto.


Lasciate liberi i poeti di carezzare la loro solitudine e lasciateli liberi di andare oltre i vostri confini e amateli giacché odiare un poeta è come odiare la propria anima e se proprio non li capite stupitevi di ciò che non riuscite a comprendere, anche di come possa un verso far precipitare la marea dentro l’anima.”


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Dal Blog La scatola di Carta
(Lorenzo Camapanella)

Il testo è musica. Punto. Ma non posso fermarmi qui.

Ho l'onore di avere tra le mie amicizie in social network una vera Persona, con la "P" maiuscola non a caso.

Fin dai primi versi è possibile entrare in quel mondo (non reale, ma è bene colorare i sogni, con una matita di realtà..). Onestamente ho immaginato dei gabbiani colorati volare nel cielo, molto probabilmente è stata la musica ha darmi quest'impressione, ma quello che conta, nel testo, sono le pennellate qua e là.

[...]

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Su quell'isola

foto © federica sabbatini (Isola di Ponza - porto)

su quell’isola
l’orizzonte ci si spalmò addosso come fosse un dubbio 

e tu ti ancorasti a quel tuo non muoverti.
mentre il sole spaccava in due il mare come a voler
scendere a terra con l’illusione di chi vuol volare
tu, così grande, ti copristi di ingenuità e invidia
affermando

“nessun uomo (mai) potrà regalarci qualcosa di così bello”

io ti guardai senza distogliere lo sguardo da ovest
(e dentro piangevo per quella spaccatura)

“e la poesia allora?”
mi domandai.


me ne andrò  - un giorno – passando per quello squarcio.