lunedì 29 aprile 2013

e (sempre)



Arcevia, 29 aprile 2013

Questi versi li ho scritti per una persona che sarà - in ogni caso - un per sempre.
E, se l'eterno è indicibile, è ancor più bello smarrirsi - per un attimo -  nel domani. 

Disegno Maurizio Barraco "Sola"

nascono strette con dentro né il principio né la fine
anche se l’eterno è indicibile e il domani un verbo da coniugare
mi perdo in questa nostra analisi grammaticale
- un magma questo rincorrerti – mentre resti fermo
a non capire quanto sia antico il nostro abbraccio

e (sempre) premo questo petto
affinché tu possa esagerare di me

ma – intanto – cerco una nostra memoria.
ho attraversato questi binari sfuggendo ai ricordi
un contorno a matita e gomma per cancellare
quel solstizio d’estate che anticipò il mio essere un “forse”
mi traghetto in te come fossi inconfessabile

(momentaneamente io scindo il nostro divenire in versi)

    e (ancora) rivesto questo cuore
affinché tu possa mescolarti in me



video poesia "e (sempre)"  federica sabbatini
immagini e voce federica sabbatini
musica Marcel Pequel - Nine






domenica 21 aprile 2013

ad un amico (finché saremo capaci di trattenere il vapore acqueo di un ricordo)


Arcevia, 18 aprile 2013

Queste parole sono state scritte per un arrivo. La persona a cui le ho regalate già le possiede e spero che possiamo entrambi - in qualche modo - trattenerle affinché tutto non divenga  vapore acqueo. 

ad un amico (finché saremo capaci di trattenere il vapore acqueo di un ricordo) 



un distacco le distanze. mi porgo
quasi fossi un tratto già conosciuto
(la nostalgia ci accomuna)
per il passato o il futuro
- o per un istante mai esistito –

vi sono sogni disconosciuti
(persino dai poeti)
e sorrisi e lontananze e risvegli
a rincorrere parole, versi o frasi
(o il vapore acqueo di un ricordo)

 tu hai già perdonato il mio bianco e il mio nero.


martedì 16 aprile 2013

a volte invece accade che un pittore accetti la confusione di quel blu - dipinto Giuseppe Faraone.

Il pittore e il mare - olio su tavola Giuseppe Faraone

dove osano i silenzi delle maree?
nascono pianti che pure i pittori sanno raccontare
e colori che perfino i poeti sono capaci di spargere
(per ogni tratto una spinta a voler crollare aldilà)

ci si confonde a dipingere il mare
- le onde imbrogliano le distanze –
e quei deliri a catturare le sfumature
si immaginano i confini tradendo l’immensità

(a volte invece accade che un pittore accetti la confusione di quel blu)

Di Nicola Vacca su "Perdonate il Bianco e il Nero"

DI NICOLA VACCA SU "PERDONATE IL BIANCO E IL NERO"

La poesia è spogliarsi e non avere paura della propria nudità. Per questa scelta coraggiosa passa inevitabilmente il poetare autentico. Non è facile incontrare poeti che hanno deciso di prendere la strada della naturalezza e raccontare nei loro versi le vibrazioni emotive del loro modo di stare nel mondo.


Federica Sabbatini con Perdonate e il bianco e il nero (Onirica Edizioni) ci regala una poesia intensa che ha una profonda e riconoscibile radice emozionale. E se, come scriveva Ezra Pound, l'emozione è tutto, non possiamo arretrare di un millimetro davanti al meraviglioso alfabeto delle passioni che Federica cataloga con la voce del cuore nella sua poesia che tende liricamente e non solo a costruire per i nostri passi un cammino che suggerisce il percorso di infinite strada da seguire per non arrendersi all'inerzia che avanza.

Federica si definisce "soltanto una che si è ordinata d esistere". La sua poesia altro non è che un canto meraviglioso d'amore per questa nostra vita, una variabile impazzita al quale, nel bene e nel male, nel bianco e nel nero, apparteniamo. Ogni verso chiede conto all'urgenza delle cose e attraversa in punta di penna i pochi gesti rimasti che forse ci salveranno, anche se sulla strada gli ostacoli sembrano insuperabili. Alla fine e in maniera scomoda Federica non si nasconde mai dietro quello che scrive e partecipa alla vita con una nudità che non ha paura di mostrarsi.

La poesia per essere vera ha bisogno di una cosa soltanto : " la possibilità di non avere una base su cui indicare l'altezza / e dei nessi che non esistano, / una bussola che nasconda il nord e il sud / così da potermi affidare al respiro del vento"
Federica da sempre si scontra con la vita, unica arma la penna per essere l'inesprimibile che si fatica a tracciare perché lì è di casa l'essenziale invisibile agli occhi che partorisce il sogno e dà voce al cuore che non può smettere di parlare.

Nicola Vacca

lunedì 15 aprile 2013

Recensione su "Perdonate il Bianco e il Nero" a cura di Alessandro Moscè.

FEDERICA SABBATINI: 
IL BIANCO E IL NERO DEL DESIDERIO



La poesia italiana contemporanea è ancora alla ricerca di un’identità forte che possa permettere di tracciare una linea di demarcazione, una via sicura tra le molteplici voci che ci capita di leggere e di discernere, così da compilare una mappa orientativa. Tra le donne si registra un grande fermento: la forma poetica si dispone per antonomasia a raccogliere la dolcezza e il malessere del nostro tempo come vera e propria cartina di tornasole. La marchigiana Federica Sabbatini (nata nel 1978 ad Arcevia) fa prevalere un graffio di donna che segna il corpo bianco, un’anima indefessa, un’atmosfera nebulosa. Si condensa un vortice di pensieri sparsi, come fossero soffiati da un vento fastidioso e necessario, puntualmente metaforico. I versi scuotono, sobbalzano, vacillano sul limite della conoscenza umana sotto forma di allegoria. Seguono un’invasione che nasce dalla dicotomia, dalla contraddizione di un’età al femminile: sono la somma di una vita giovane, ma già ferita (e redenta) in espressioni per lo più figurate. Perdonate il bianco e il Nero (Onirica 2012) si compone di azioni, di gesti meccanici, inutili ma sintomatici: “Truccati il viso, / vestiti bene / e non scherzare…”. Oppure: “Ha stretto forte gli occhi /così prepotentemente da partorire una ruga”. Federica Sabbatini totalizza l’esistenza, la rende estrema, come un elastico tra la nascita e la morte, tra due opposti che si toccano nell’atto cruciale del compimento (cioè del vivere). La parola compie il suo destino che dal dolore si eleva all’individuazione di un mondo privato che non può essere solo composto di banale quotidianità. Il bianco e il nero rappresentano il salpare verso una destinazione invisibile, un’àncora di salvezza che la scrittura fissa e restituisce alla persona stessa che la definisce (“Scrivo per capire ciò che scrivo”, diceva Moravia). Ecco allora che la poesia deraglia volontariamente, si fa simbolo immemore: “Ho rintracciato il coraggio di sognare / rovistando nel mio disordine / e quando ho scelto di prendere forma / le mie speranze sono state scalpellate in deliri…”. Il sogno non è evasione, ma spettro ossessivo, brandello di ricordo. “Cosa ne sanno dell’odio che ascoltiamo? / Nulla se non regalassimo loro l’attesa di una lacrima”. Federica Sabbatini affronta la realtà utilizzando una parola evocatrice, primordiale, vibratile. Ogni atto esprime una sensazione e un’immaginazione che mordono. La risonanza di questa parola rivela anche un’appassionata devozione per la pronuncia solenne. Il mondo dell’amore, in particolare, è emblema di luce e di buio. Torniamo sempre all’eterno presente del bianco/nero, della condivisione di ciò che si pone in un contrasto di forze. Le frasi si attorcigliano, si intersecano come fossero viscere. Del resto questa poetessa scrive con la pancia. E’ preda di un umore in rapida evoluzione che compone pazientemente il linguaggio. In questo procedere rapsodico ricorda certi echi di Patrizia Valduga e di Alda Merini. “Io non appartengo alla seta, / ma ad incanto e furore e grida…”. Alcune definizioni ritagliano uno spazio di libertà nel segno dell’anticonvenzionale, perché la composizione tra l’essere e il dire appaia più netta e la poesia sia l’arma di difesa contro ogni agguato, la reazione allo stesso male endogeno. Insomma, non si potrebbe centellinare in altro modo il bianco/nero così impudico, se non con l’esigenza di attingere alla propria pienezza, ai risvolti del proprio io, uno come tanti altri, simile a tanti altri, eppure così diverso e così originale. La lirica dell’io, quindi, che però è chiamata a parlare per sé e per gli altri, a far capire che quando si tace c’è un altro modo di “confessarsi” che solo la poesia può restituire. Un rovistare come in vecchi armadi per tirar fuori ciò che non deve rimanere confinato in uno spazio residuale: la voce, semplicemente, del desiderio.

Alessandro Moscè




Il libro si può acquistare direttamente dal sito della casa editrice cliccando QUI

sabato 13 aprile 2013

Una nostalgia al rovescio.



Dipinto Edward Hopper

si ribaltano i giorni – ad ogni avanti un indietro.
è primavera ma ogni petalo sta già cadendo
e  trasuda ogni istante di una nostalgia al rovescio.

non c’è ancora il tono di luce giusta per abdicare

e appoggio souvenir lungo questi versanti
- ancora un sorso e brindo allo stupore di un respiro -
poi rubo per l’inverno a venire il seme che non interri

la poesia? un rifugio pieno di mine

e certi abbracci hanno in se l’amaro di un eterno
corrompo il destino con una sigaretta e un bicchiere di rhum
per il momento avrete (di me) il mio contrario.

trattengo l’attesa – nuda - come fossi speranza. 


venerdì 5 aprile 2013

il discendere di parole nell’intimo divaricato


federica sabbatini
foto f.sabbatini

a volte invento - in questo nostro intrecciare -
il discendere di parole nell’intimo divaricato.
frasi non pronunciate e pianto sul ventre
affondi e mi impugni - eppure quel canto tarda a venire -
solo voci a non azzardare il dischiudere di ieri
e incanti privi di lirica. continui ad annullarmi.

mi spieghi a riva come fossi mare

e consegni la mia mente al di là della presa
maree e sospiri escono a far sì che l’istante rimanga tale
e non si smarrisca nella menzogna dell’eterno.
dopo di che si ritorna a dissimulare la paura
e mi frammento pensando alla sorte di una goccia.
tu rifletti il mio andare come fossi specchio.



mercoledì 3 aprile 2013

(io ho deciso semplicemente che i capelli mi scivolassero addosso)

Disegno Maurizio Barraco

- comandare i miei sì ed i miei no -
(io ho deciso semplicemente che i capelli mi scivolassero addosso)
fino a sentire i pensieri lungo il corpo
e istanti per procedere ed arretrare la dita
lungo i fianchi dell’incedere
(per ciascun passo sboccia una minaccia)
e una lacrima che approda nelle cecità.

ricordo che a mia madre fu insegnato il silenzio
e acconsentimenti e l’amore per quel “Dio”
che creò le nostre impronte solo per farci ripiegare le ali
e ci disegnò il peccato negli occhi, nel cuore e nei seni
- ci concesse il dovere di retrocedere e non il diritto di avanzare -
e qualcuna morì indugiando sulla vita - a sospirare una franchigia.

abbiamo camminato per la strade
con negl’occhi la consapevolezza di essere belle
(ci è voluto del coraggio e un po’ di paura)
io riuscì a fare l’amore con le libellule
– lei s’imbatté nell’orrore  –
ma non potrà accadere per sempre
che si debba morire per vivere (o per amare)
e che braccia larghe a non trattenere un rimpianto
possano franare a sbarrare parole, passi, vorrei e dita.

si corrisponde – è vero – per illogicità dell’odio
(seni che vanno oltre i figli fanno paura)
e ogni  guerra non ripaga le sue vittime
e ogni violenza resta stretta a segnare le notti e i giorni
ma se abbiamo occhi per guardare e mani per stringere
e il bianco per scriverci sopra
allora solo il vento potrà aver il diritto di farci cadere.


© federica sabbatini


Ogni liberazione è possibile se non si giustifica più l’odio, la violenza e l’ignoranza.

Disegno Maurizio Barraco

Secondo fonti dell’ONU una donna su tre, al mondo, è stata picchiata, forzata ad avere rapporti sessuali, o ha in qualche modo subito abusi almeno una volta nel corso della sua vita e questo accade in ogni parte del mondo.

Centotrentuno paesi del mondo, il mese scorso, hanno firmato la Carta ONU che condanna le violenze a danno di donne e bambine chiedendo per loro i diritti umani e di libertà fondamentali. Si tratta di un documento non vincolante e pertanto si può solo sperare che tutti i paesi che hanno sottoscritto riescano a tradurre l’accordo in atti concreti in quanto ogni donna ha il diritto assoluto di potersi assumere la responsabilità della propria vita.

È inaccettabile che, ancora oggi, una donna debba temere di esser tale. Finché ci sarà ignoranza, odio e giustificazione ad essi non si potrà mai davvero essere liberi. Troppe donne fino ad oggi sono state uccise o vittime di violenze dietro ad assurde scusanti come amore, onore e perfino Dio.

Disegno Maurizio Barraco
Spesso si sente parlare di violenza sulle donne al di fuori dei nostri confini di mondo occidentale ed è vero che in alcuni paesi la condizione della femminilità è ridotta a schiavitù, ma non possiamo pensare di aiutare o cercare di dare solidarietà se effettivamente, anche nella nostra realtà, si vive di compromessi e si muore “per amore”. Secondo dati che ho reperito in rete (fonte Telefono Rosa) nel 2012 in Italia sono state uccise novantotto donne (praticamente una ogni due giorni) e nella maggior parte dei casi si tratta di violenza domestica. In Africa si è stimato che nel 2013 saranno circa tre milioni le bambine che rischieranno l’infibulazione. In Cina, nelle campagne, due donne su tre sono vittime di violenze da parte del coniuge. In India avere una figlia femmina è diventato molto costoso - a causa della dote dovuta dalla famiglia al futuro marito - e si è calcolato che ogni anno vengono uccise circa 6.000 figlie femmine. In tantissimi paesi del terzo mondo le donne sono ridotte in schiavitù a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo e questo accade in particolar modo dove sono presenti conflitti e turismo occidentale.

Io penso che ogni liberazione è possibile se non si giustifica più l’odio, la violenza e l’ignoranza.

federica sabbatini, 03 aprile 2013


Ringrazio l'artista Maurizio Barraco per avermi concesso l'utilizzo dei suoi disegni e ringrazio anche la sua capacità di interpretare l'universalità della donna attraverso la sua arte.

Potete visitare il sito dell'artista cliccando QUI