venerdì 29 novembre 2013

In quell'altrove.


È che ti amo così tanto da poterti tenere stretta in un pugno  ancora oggi che di oroscopi ne sono passati a non designarci un destino. È che vorrei che tu fossi la mia prolunga, la parte di me che non riesco a completare anche se so che non potrai mai essere la somma dei miei errori e che anche tu dovrai crescere le tue inesattezze e sottrarre i dubbi per averne ancora e ancora.

È che ti amo così tanto da vacillare di fronte ogni tuo dolore e che potrebbe impazzire ogni mio avvenire se tu decidessi di lasciare il nostro dove, che non è un luogo, che non ha dimora, che vive in quegli istanti in cui ci si abbandona alla vita.

È che ti amo così tanto da volerti insegnare tutto ciò che so e poi rifletto e mi dico che non conosco poi molto e che forse potrebbe bastare la carezza che ogni tanto posso lasciarti sul bordo di un sorriso a indicarti la strada.

È che ti amo così tanto che io resterò sempre in quell’altrove e sai anche di quei fogli che non leggi, ma in cui io m’imprimo a incidere gli attimi e a scolpire ogni passaggio e a ficcare dentro il mio andare. Ci sono molti altrove in cui mi potrai riconoscere e in cui sono passata in silenzio anche solo con l’ausilio della poesia che inciampa su quelle persone che hanno molto da dire e una voce che bastona chi legge dentro.


29 novembre 2013

lunedì 25 novembre 2013

quel che cerco vive riparato negli istanti


era solo un palpito,
ma ascoltando quel battito
mi accorsi che colava dal soffitto un noi
(rari gli attimi in cui ci si sente)
ogni mia radice non chiedeva acqua
ogni oggetto perdeva il suo ricordo
e ogni frammento aveva un senso compiuto:
quel che cerco vive riparato negli istanti!
… un minuto dopo torno ad inseguire.


© f.sabbatini, 25 novembre 2013

venerdì 22 novembre 2013

Spero che un giorno capirai e quel giorno io sarò lì poiché non sono mai stata altrove.

[…]

Spero che un giorno capirai e quel giorno io sarò lì poiché non sono mai stata altrove.

Sono sempre stata nel tuo centro, anche quando sembrava che lì ci fossi tu a spaventarmi la vita. Oggi, forse, ti distrai con la tristezza e piango perché non vuoi capire che chiudere il dolore entro se stessi fa impiccare ogni dolce visione.


Era novembre anche l’anno scorso e magari nell’abbraccio c’era un po’ di rabbia in meno e forse già a metà di quel mese pensavi che non era possibile andare oltre.

Era novembre anche un anno fa e faceva più freddo. Ricordo bene che nella voce c’era ancora un po’ d’infanzia e nelle mani una carezza che so ritornerà fra qualche novembre in più a lambire senza inerzia una scusa vera.

Un giorno, magari sempre in un novembre, capirai! Ne sono certa. E potrai trovarmi in ogni altrove e cancella ogni inutile rimpianto giacché non abbiamo mai smesso di volerci bene. Sono solo gli anni che, bastardi, scorrono veloci e non ci danno il tempo di comprendere il valore degli istanti.

                                          […]


giovedì 14 novembre 2013

... e quando sarà.


e quando sarà che diverrò violino d’adagiare lungo il pendio della vita
fa sì che io possa ancora attraversare mari, città, versanti e parole confuse;
fa che ogni vento possa condurmi presso un accordo stonato

e che il mio conto con la vita resti aperto come un bar del centro
fino a tardi, finché il vino c’è, finché l’ubriacatura bastoni ogni cuore
di quell’ebbrezza di cui i poeti non riescono a disfarsi.            

scomponi il mio corpo fino a condurmi in ogni porto e in ogni stazione:
che possa perdere ad ogni arrivo il treno che mi restituisce il nero
e che ogni attracco sia impossibile per colpa delle maree.

rendimi polvere e rendimi alla deriva, ruba un verbo per amarmi ancora una volta
mentre nulla resterà eterno se non qualche ricordo prima che sopraggiunga il dimenticare
da spolverare da ogni piccolo oggetto che rintanerai per non ascoltare più questa voce.

e ti parrà di sentire ancora un violino stonato che vomitava parole a separare la vita.

© federica sabbatini, 14 novembre 2013


martedì 12 novembre 2013

nel modo più intimo di una donna (poesia federica sabbatini - disegno Maurizio Barraco)


Disegno Maurizio Barraco


e vorrei dirti
– sto pensando a te nel modo più intimo di una donna –
con la pelle attorcigliata nell’istante di un sospiro
e le labbra aperte, solo un po’, a non soffocare
la visione di un caldo e freddo aspettare che tu sia qui

e non ho vergogna
- l’infondato risiede entro chi non trasuda il vivere –
quel cancello l’ho scavalcato in pieno giorno
e al di là solo vita piena, partenze e ritorni e bisogno di dire
oltrepassato non si torna indietro e non lo si vuole.

c’è una radio che cinguetta
- è quella dell’infanzia e del profumo di ginocchia macchiate d’erba –
musiche a ricordarmi l’importanza dei miei seni
e che non c’è il di dentro senza un di fuori
un intimo finire e chiudere i miei occhi per agognare i tuoi.

© federica sabbatini

martedì 5 novembre 2013

di là c'era il mare, di là potevo esserci io...

foto federica sabbatini
squarcio dall'isola di Othoni



ricordo che tremai innanzi a quell’apertura
di là c'era il mare, di là potevo esserci io
di là poteva anche nascere la piena di quel fiume
che scorre nelle tue vene, quando, a volte,
ti avvicini e avverto (quasi) di morire.

ricordo che restai ferma dietro quel contrasto
di là c’era un colore di cui non ricordo il nome
di là confidai nel possibile e mi fidai delle mie visioni
ti disegnai con tinte sconosciute e, compresi,
che è difficile vestirsi di me.

di là crollò ogni rosso e nacque il grido.


© federica sabbatini, 04 novembre 2013 

domenica 3 novembre 2013

Chiedo Scusa

Video e foto federica sabbatini
voce Daniela Cattani Rusich

Chiedo scusa,
per il fastidio dei miei occhi,
dei miei sorrisi, delle mie parole.
Chiedo scusa per mie urla
se a volte osano fuggire,
delle mie mani che tremano
abbracciando un giorno.
Chiedo scusa se spesso piango,
se unitamente scrivo cose insensate
se mi azzardo a guardare le nuvole,
se cerco di intrecciarmi con l’amore.
Chiedo scusa dei miei sogni,
dei miei vorrei, innanzitutto,
che infastidiscono oltremisura.
Chiedo scusa se a volte afferro un bicchiere,
se fumo una sigaretta di più,
se ogni tanto la mia fragilità
si specchia in una lacrima,
mi scuso delle mie occhiaie,
del viso non truccato,
di quel brufolo in più,
dello smalto rovinato.
Chiedo scusa se asserisco che vorrei andarmene,
se provo a sopravvivere,
se cerco un orizzonte diverso dal vostro.
Chiedo scusa se a volte provo a chiedere,
se inseguo un istante di serenità
se mi perdo coi pensieri nelle vie del mondo.
Chiedo scusa delle mie illusioni,
di ciò che non devo aspettarmi,
dei tramonti inventati da finestre differenti,
di momenti che vorrei arrivassero.

Chiedo scusa se, a volte, provo a desiderare.


©federica sabbatini, 01 maggio 2012

Tratta dal libro "Perdonate il Bianco e il Nero" Onirica Edizioni




giovedì 24 ottobre 2013

fai di me il tuo verbo (poesia federica sabbatini - disegno Maurizio Barraco)

Disegno Maurizio Barraco
coniugami, ti prego!
fai di me il tuo verbo
in questa assurda prima persona
senza privarmi del tempo infinito

prendi il mio anulare
e tocca a stento questa casa
fino a non promettermi nulla d’eterno,
ma solo una lunga notte e a seguire tante altre
e di fronte quell’isola che lusinga
la possibilità di un recarsi e dimenticare.

ma tardi a restituirmi
e forse non verrà mai domenica
così non potrò indossare il vestito nuovo
e il tuo calore pieno resterà solo un prestito.


© federica sabbatini, 24 ottobre 2013

domenica 18 agosto 2013

“è che tu rubi ogni sospiro” (Isola di Othoni) - poesia e video

foto federica sabbatini
scattata presso l'isola di Othoni

“è che tu rubi ogni sospiro”.

non credevo che esistesse l’irreale
al di fuori della poesia
né un bianco così acceso di un cipresso
a innalzare l’azzurro.
un tramonto mi arginò l’anima e mi rese
un pensiero mai avuto:
non riuscì a guardarmi dentro senza mentirmi
e ingannavo un futuro
mettendo pietre a costruire un miraggio.

strade in salita e tratti celati,
il sole che rende un profilo.

non posso che essere una macchia
su quest’orizzonte che accoglie ogni rimpianto:



“è che tu rubi ogni sospiro”,
ti urlai senza che altri udissero.


mi spalmai sulle labbra ciò che avevo dentro
e solo tu m’intuivi.
sai che nel seno mi crolla sempre un indefinito.

un blu che diviene onda ogni qual volta respira il vento
e, io, al suo cospetto, sciolgo le mani a farne spuma


(cerco d’imitarlo)


ma ricalcare il suo essere potrebbe erigere la mia pazzia

e mi faccio sagoma per inghiottire ogni fiato che mi ruba.

gli rendo la preghiera che feci a Dio.      

e insistevi a dirmi che nulla eguaglia quegli scogli
e che null’altro potrebbe impiccare un fiato
e io ti lasciai dire mentre non rifugiavo i capelli dal vento
e li lasciavo annodare come fossero cime
e pregavo.

 pregavo che ogni fluire restasse incastrato in quell’orizzonte.
non credevo che fosse così bello impazzire
mai avrei immaginato di soffocare ogni rimpianto
mai avrei desiderato morire altrove
e mai avrei creduto che l’amore avesse le sembianze di un’isola.

mi ritrassi surreale in qualche pietra e dimenticai i gabbiani
appoggiandoli su quella panchina e nelle finestre dal doppio orizzonte

in quanto qui tutto dimenticai, perfino quel ritratto sbadato,
che aspetto mi venga fatto
non seppi più cos’era un perdono e nonostante parlassi
in realtà era un silenzio
che dal faro alle case dirompeva nel mio petto.

non esistevano ore e non esisteva più alcun percorso
e mi stupii di quel verde a cadere in case dismesse
e degli ulivi alti a lambire i sogni.

© federica sabbatini




lunedì 29 luglio 2013

non il passato, non il futuro...


“Non il passato, non il futuro.
Solo l’oggi dei nostri occhi.
Non serrarli.”

Come me. Chissà se fai mai come me. Chissà se ti accorgi mai che nella casa di fronte abitano altrettanti sospiri e che oltre l’andare dei giorni, a ridosso delle nostre maree, in una palafitta ancorata alle onde, abita un vecchio pescatore  che vorrebbe parlarti e parlarti ancora. Ti ripeterebbe mostrando le mani e il cuore consumati dagli anni: “Tu non dare per certo questo andirivieni, per  mare si va spogli dalla superbia del ritorno.” Tu capiresti e io morirei. Davvero dai un significato ad ogni lacrima? Davvero sei capace di non attribuire oltre l’attribuibile? Un giorno franai. Tu tentasti, ma la fatica era troppa e io capii di non poter avere altro oltre le parole e, allora, non negarmele.

“Non ieri, non domani.
Solo il presente tra di noi.
Ci basta.”

Bastarci  non è esistere, ma vivere quello che cola addosso la nostra pelle nell’istante in cui Amore trasuda da ogni singolo poro il sapore dell’essere. Dove vanno a morire i tuoi pensieri? Non posso pensare che ogni tuo aggrapparti non riesca ad avere un luogo. I miei sanno di inchiostro e amaro e non possono oltremodo andarsene se non per degli strappi. Anche l’anima può morire per uno squarcio, lo sapevi? C’è chi l’ha imparato impazzendo e chi l’ha intuito dal tremare del corpo e chi per poco conto dei cuori altrui l’ha scoperto odiando.

“Forse oggi, magari ora.
Il presente sa di pienezza.
Io piano piano dimentico.”


Tu non farlo anche se un giorno potrei chiedertelo. Gli attimi di follia del cuore sono solo attimi, niente più. Sì, so di averne molti, ma fuggono via veloci come un tormento e anche se ritornano sono solo istanti. Ti ricordi quando ti chiesi una bugia? Non so se sono stata vigliacca o meno, ma so di essere stata onesta. Io la volevo, volevo un appiglio per poterti tagliare, come un filo spezzato di un aquilone, come una spiga piegata da un viandante maldestro, una speranza che ancora mi neghi e della quale ormai non patisco più l’assenza. Forse ogni lacrima pesa di meno? Ogni fuga sa di momenti passati a correre sul posto e riconosco i tuoi baci tra le righe di ogni verso che scrivo. 


domenica 28 luglio 2013

forse non sarà mai poesia.

foto federica sabbatini (bici - porto di Ponza)

vorrei capire cos’è questo brontolio
questo diffamare il mondo e i suoi abitanti
le stagioni, il vicino, la pazzia e quel poco che c’è.
siamo tutt’uno con ciò che ci circonda
[il prodotto che non è certo è solo quello della poesia]
ma (nella realtà) se uccidi un uomo
non puoi essere che un assassino
e se ami da impazzire prima o poi impazzirai

non capisco, ma forse sono poco abile,
poiché vi bastino i baci d’una rivista
e affidarvi ad una vita stampata in prima pagina
di chi s’intasca l’esistenza svaligiando il domani.
io amo e non dimentico il sudore di chi si è seduto sotto gli olmi
e di chi ha spazzato ogni strada per farmi dono di un futuro
e m’attacco (oggi) a quelle rughe e a quei calli
come fossero libri da leggere e memorie incancellabili.

ditemi come fate a eccitarvi tra miti e merci
e a dimenticare a casa il cuore e perderlo come un telecomando
e a lasciar correre (poiché conviene)
e poi assolvere chi vi uccide i sogni per una preghiera e qualche spicciolo.
come si fa a restare fermi mentre dall’alto piovono bugie?
cosa direbbe l’attimo prima di morire se vi vedesse
raccoglierle come verità?
dove correte tutti se in realtà state fermi?

piango e ne faccio versi anche se forse non sarà mai poesia.

@ federica sabbatini, 27 luglio 2013





venerdì 26 luglio 2013

Prima di tutto... da "Perdonate il Bianco e il Nero"

Art by Steve Hanks


Guarda il cielo e impara ad accendere la luna
a volerle rimanere accanto tutta la notte
poiché troppo bella da lasciare sola.

Conta le stelle, non pensare che siano troppe per provarci,
nulla è così grande e lontano da non tentare,
ogni miraggio è un piccolo miracolo su cui sperare.

Della notte ama anche il nero:
se per un istante provi a imbrogliarlo
esso ti svelerà da ogni parte la bellezza del mondo.

Cullati con le parole di un libro, la notte.
Quando vuoi per un istante dimenticare i tuoi pensieri
nutriti con i pensieri degli altri.

Ardi di fronte a un quadro
fallo passare dagli occhi per approdare nel cuore
Nutriti della sua bellezza e saziati della sua anima.

Fai della curiosità il tuo strumento per studiare.
L’incanto del desiderio di conoscere,
la necessità di farlo per avere la capacità di decidere.

Insegui i tuoi sogni, non smettere mai di sperare,
anche se verranno definiti deliri.
La vera follia sta nell’ucciderli.

Non aver vergogna di essere un fiore bianco tra fiori rossi
e se hai un profumo diverso fallo conoscere al vento,
la natura ha bisogno anche della tua essenza.

Rispetta te stessa, gli altri, gli oggetti, le idee,
coltiva il tuo campo senza arrecare danno al terreno altrui,
e complimentati con il tuo vicino se il suo raccolto è migliore.

Non invidiare, lo so che non è semplice,
la vita a volte sembra che sia generosa solo con pochi,
ma ricordati che ognuno ha il suo dolore e non sempre puoi scorgerlo.

Scegli, non aver paura di pagarne le conseguenze,
fai del coraggio l’ingrediente primario della tua vita,
condisci la tua esistenza con esso, abolendo i rimpianti.

Sulle persone che posso dirti?
Io ho senza eccezione dato loro una possibilità
e di questo non mi pento: un’amicizia raschia mille delusioni.

Ma prima di tutto l’amore.
È lui che d’agosto fa cadere le stelle
per regalarci il sogno di un desiderio.



federica sabbatini da

 "Perdonate il Bianco e il Nero"

lunedì 22 luglio 2013

Fuori dal buio (voci notturne a ridosso dell'aria) - federica sabbatini & alessandro moschini


(Non ho più tenebre
riflesse tra le dita
come passanti ruvidi
incagliati nei ricordi).
Ascolta ad occhi chiusi
questo vento
che prostra prepotente
le punte dei cipressi.
Respirami nel petto
chiusa tra le mie braccia
nel tremolio dei vetri
e della voce.
Il buio? è stato ieri
(il presente e il verrà)
ogni petto è una scommessa
che gioco incurante delle mani.

Di me ti resta solo da inalare
una superstizione antica
fatta di donne vestite di nero
e lenzuola sotto la cenere,
note stonate di dita che cercano
l’armistizio delle parole.
Ama di me la definizione che trema.
(attendo lontana dall’uscio).

(Non ho più tenebre
riflesse tra le dita
ma solo nastri azzurri
che scorrono al futuro).

(Aspettami lontano:
il mio riverbero sarà
accanto all’imbrogliare
del destino)


© alessandro moschini & federica sabbatini


mercoledì 17 luglio 2013

Eppure



Giuseppe Faraone
"La casa sul Fiume" olio su tavola

Eppure avrei da dire, ma contengo le lacrime
come fossi un piccolo fiume geloso del proprio dolore,
non riesco a fluire
e mi perdo a contatto con me stessa.

Eppure avrei da piangere, ma ogni sussulto di questo seno
 cede alle tue mani e aspetto che tu mi parli
come fossi un profeta,
ma la veggenza l’allunghi soltanto lontano dal mio ascolto.

Eppure avrei saltato, un balzo così lontano da
rompermi entrambe le ginocchia e procurarmi un’amnesia,
temporanea, di certo,
ma degna d’essere chiamata col nome di cura.

Eppure avrei da urlare, da rompere un bicchiere e
 tirare un piatto, ma è poco elegante e non è che mi sia
 mai importato molto dell’eleganza,
ma, sai, ho delle responsabilità, ormai.

Eppure avrei bisogno di un aiuto, non è che non l’abbia chiesto,
ma una cosa è chiedere di sollevare una scatola,
un’altra è quella di sollevare l’anima,
pesano assai i tormenti, i pensieri , gli amori.

Eppure mi sarei colorata, piena di colori, ovunque,
distratta anche accanto ai respiri che ti regalo.
Ma tu li cogli senza imbrattare il nero della stanza.
una carezza a trattenere la notte.

Eppure raccolgo silenzi come fossero gocce di rugiada, fresca,
attraversata dall’alba e mi ci spalmo addosso a quest’assenze di voci,
solo il ticchettio dei tasti a
riportarmi a queste visioni, a ciò che ormai sono.

© federica sabbatini, 

lunedì 15 luglio 2013

Era stato un aquilone.



Era stato un aquilone – forse – in quel mattino di novembre a sciogliere il mio inizio. Mi sembrò che fosse l’istante giusto per scivolare un po’ più in su.

Diedi inizio a quel dialogo tra senno e spinte, un dialogo marcato da dita a pigiare e da quaderni a racchiudere il volo del dire.

“Tu sei stato più onesto di me, ricordi? Un giorno mi chiesi con tono severo cosa io volessi. Ti risposi seccata che non volevo nulla. Beh, ti mentì. Io volevo l’amore, volevo che fossero versi, volevo che divenisse poesia.

Ti chiedevo – senza parlare o facendolo oltre misura – di amarmi. Di non scavalcare la folla dei miei deliri. A volte ho perfino cercato di issare al cielo le mani e farle impigliare nei grovigli degli insiemi, lassù, aldilà, dove arriva rarefatto il fiato che questa gelida sera d’inverno smaschera.

Svevo anche capovolto le stagioni e non sapevo più riconoscere un’attesa da un approdo e mettevo zollette di zucchero lungo il tuo corpo per dimenticare la mia assenza e ammorbidire con l’ammollo un divenire, ma tu non leggevi e io scrivevo di tutto ciò tra un abdicazione e un’accoglienza.

Ma perché, tu, voi non volete credere all’onestà dei poeti? Anche quando mentono lo fanno solo a se stessi, poi ognuno creda al proprio incedere compiangendosi addosso ciò che essi hanno avuto pietà di scrivere, per se stessi, per gli altri o per nessuno. I versi restano lì, per pochi, per chi non teme i pensieri e i tormenti, per chi non sospetta della vita, per chi sa che un poeta può spegnersi per un solo alito rubato e nonostante ciò dipinge un abbraccio così stretto da scorporare l’anima.

Occorre lasciarli vivere i poeti, avere pietà di loro, delle loro anime disconosciute dalla vita e, invece, spesso indugiate sulla loro morte, come se la fine prospetti l’inizio, come fossero un contrasto terreno, come carne sulla quale dipingere la follia e che ben venga questa benedetta follia se è capace di generare lacrime pure come quelle della poesia e ben venga il cielo a lambire la terra se, così, può nascere un tumulto.


Lasciate liberi i poeti di carezzare la loro solitudine e lasciateli liberi di andare oltre i vostri confini e amateli giacché odiare un poeta è come odiare la propria anima e se proprio non li capite stupitevi di ciò che non riuscite a comprendere, anche di come possa un verso far precipitare la marea dentro l’anima.”


**************************

Dal Blog La scatola di Carta
(Lorenzo Camapanella)

Il testo è musica. Punto. Ma non posso fermarmi qui.

Ho l'onore di avere tra le mie amicizie in social network una vera Persona, con la "P" maiuscola non a caso.

Fin dai primi versi è possibile entrare in quel mondo (non reale, ma è bene colorare i sogni, con una matita di realtà..). Onestamente ho immaginato dei gabbiani colorati volare nel cielo, molto probabilmente è stata la musica ha darmi quest'impressione, ma quello che conta, nel testo, sono le pennellate qua e là.

[...]

per leggere tutto clicca QUI

Su quell'isola

foto © federica sabbatini (Isola di Ponza - porto)

su quell’isola
l’orizzonte ci si spalmò addosso come fosse un dubbio 

e tu ti ancorasti a quel tuo non muoverti.
mentre il sole spaccava in due il mare come a voler
scendere a terra con l’illusione di chi vuol volare
tu, così grande, ti copristi di ingenuità e invidia
affermando

“nessun uomo (mai) potrà regalarci qualcosa di così bello”

io ti guardai senza distogliere lo sguardo da ovest
(e dentro piangevo per quella spaccatura)

“e la poesia allora?”
mi domandai.


me ne andrò  - un giorno – passando per quello squarcio.




giovedì 2 maggio 2013

echi tra parentesi (allargati e dilania questo “entro” in cui mi sto perdendo)

Dipinto Edward Hopper

Ascolta l'audio

allargati e dilania questo “entro” in cui mi sto perdendo.
ci sono arie che non vuoi incarcerare – eppure respiri –
ti riposi mentre uccidi questo (mio) svolgere la pelle
cingendo il vagheggiare di echi tra parentesi
- parli di un passato che non sbaglia strada -
e di me sai (mi sono già smarrita nei rimbombi).

vorrei sedere con un bicchiere in mano
a degustare quel ritorno non atteso

ma ho imparato a non rientrare nelle pieghe
di quel vestito stropicciato con cui asciugai l’amore
(imbroglio con piacere una somma con una detrazione).
fermati a non strattonare questo braccio intento a scoprire.
aspetto che la pioggia riempia il calice del mio seno
affinché tu non possa asciugare il vino che ho addosso

© federica sabbatini, 02 maggio 2013